Contaminate 121 grotte e 247 sono ostruite ma nessuno si muove

Il campionario di rottami e immondizia raccolti in una cavitàL’allarme del presidente degli speleo triestini Furio Premiani: «Pericolo disastro ambientale, sorde le istituzioni»
di Davide Ciullo

«Indignazione, un diffuso allarme, tante buone intenzioni. E a distanza di tre anni la situazione qual è? La stessa di prima». È «arrabbiato e avvilito» Furio Premiani, presidente della Federazione speleologica triestina, «e parlo a nome di tutti gli esploratori di grotte della provincia». Sono circa un migliaio, arrabbiati e avviliti. Non riescono a capacitarsi di come, negli ultimi 60 anni, gli abissi che punteggiano il Carso triestino siano stati ridotti a immondezzai nell’indifferenza generale. Ma soprattutto si rammaricano di non riscontrare sensibilità adeguata attorno a un disastro ambientale al quale – dal loro punto di vista –non si sarebbe mai provato veramente a porre rimedio.

«Noi siamo a disposizione, ma le istituzioni devono darci una mano». Nel 2010, il Cai XXX Ottobre e Greenaction Transnational resero note le loro stime: delle quasi 2.700 cavità iscritte a catasto nella regione, 121 risultavano inquinate e 247 ostruite da materiali scaricati abusivamente. «Dati persino ottimistici: noi avevamo contato almeno 600 grotte contaminate», sospira Premiani. In realtà, da allora, qualcosa è stato fatto. Nel 1996, una ditta incaricata dalla Regione iniziò a bonificare il Pozzo dei colombi, vicino Basovizza, che 20 anni prima era stato riempito fino all’orlo di nafta e idrocarburi, residui dell’attentato alla Siot. Ma ci si fermò a metà del guado, per mancanza di fondi. Quindi, gli speleologi svuotarono la “Grotta 1103” e l’Abisso Plutone: ne uscirono tre automobili e venti motorini, per un volume totale di 30 metri cubi di immondizia in 120 metri di profondità. E poi c’è il Comune di Duino Aurisina, che una volta all’anno provvede a “fare le pulizie” insieme agli speleologi. Ancora troppo poco, anche perché le sostanze tossiche o l’amianto non si possono rimuovere senza l’intervento di una ditta specializzata, che ha costi notevoli.

«Noi, dal canto nostro, vediamo erodersi sempre più i contributi che prima ci erogava la Regione, e ora la Provincia: in cinque anni siamo passati da 62 mila a 30 mila euro». I volontari triestini riescono a malapena ad acquistare le attrezzature; più di un intervento all’anno, allo stato attuale, è impensabile. «Ma quello che non capisco – mette in chiaro Premiani – è perché le istituzioni non ci sfruttano per valutare la consistenza dell’inquinamento e decidere che fare. Cosa chiediamo? Soltanto un rimborso per l’equipaggiamento. Ma temo che gli enti vedano tutto questo solo come una spesa da non accollarsi». L’assessore provinciale all’ambiente, Vittorio Zollia, dichiara. «Con gli speleologi il dialogo è aperto ed è sempre stato proficuo. Sia chiaro però – puntualizza – che in questo campo la competenza è regionale. Negli anni scorsi avevamo avviato un confronto per mettere a punto un piano di interventi pluriennale, che poi si è arenato».

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Da Il Piccolo del 31-07-2013 p. 20

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