Perché esistono gli speleologi a Trieste da oltre 150 anni

Grotte della provincia di Trieste (luglio 2014)

Grotte della provincia di Trieste (luglio 2014)

di Furio Premiani

Prima di parlare di speleologi, e di capire esattamente quello che fanno, è bene comprendere, a grandi linee, cosa ogni giorno, ogni istante, avviene sulle rocce del nostro Carso. Non è possibile parlare delle nostre “pietre” e dei nostri “buchi” senza che non si sia compreso il vero significato del lento cambiamento di questo particolare territorio e del fascino che noi triestini abbiamo subito da lui in questi ultimi 150 anni. Data la sua particolarità scientifica e l’alta concentrazione dei fenomeni naturali, il nostro Carso ha legato il suo nome a quel processo chimico conosciuto in tutto il mondo con il nome di carsismo.

Mi sia concessa, in questa occasione, una brevissima digressione poetica a mio avviso molto appropriata che stigmatizza in maniera significativa l’aspetto del territorio provinciale visto da chi, cento anni fa, ha dato la sua vita per riconquistare questa terra dagli Austriaci.

Il Carso è un paese di calcari e di ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni grigi di piova e di licheni scontorti, fenduti, aguzzi. Ginepri aridi. Lunghe ore di calcare e di ginepri. L’erba è setosa. Bora. Sole. La terra è senza pace, senza congiunture. Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato. Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sé tutto il terriccio rubato, cade regolare, misteriosamente, da centomila anni, e ancora altri centomila.

Questo che vi ho letto è un passo da “Il mio Carso” di Scipio Slataper.

Il territorio della nostra provincia è costituito al 70% da rocce carbonatiche – conosciute anche come rocce solubili – nello specifico calcari e dolomie – queste rocce in tempi molto antichi si sono innalzate e conseguentemente fratturate a seguito delle spinte generate dalla deriva dei continenti. A questo punto acque fluviali e meteoriche, ricche di anidride carbonica presente in gran quantità ai livelli bassi dell’atmosfera, sono penetrate attraverso fessure beanti nel massiccio carsico. È iniziato così, milioni di anni fa, nell’immediato sottosuolo, un processo carsico chimico e fisico di allargamento e di deposizione che ha dato origine, sotto i nostri piedi, a una vera e propria spugna chiamata sistema carsico.

Va da sé che in milioni di anni questo “sistema carsico” si è ingrandito e lentamente approfondito lasciando nelle parti superiori un intricato dedalo di condotte e pozzi che genericamente viene chiamato grotte. Attualmente queste acque sono giunte ad una profondità dove il grado di carsificabilità è molto basso (calcari dolomitici) quindi scorrono verso la costa ad una profondità, rispetto al livello del mare, di molte decine di metri più basso, per poi uscire risalendo e miscelandosi alle acque salmastre del nostro golfo.

Questa mia non vuole essere una lezione di geologia, ma una provocante riflessione sulla vulnerabilità del nostro territorio e sugli effetti delle infiltrazioni di sostanze inquinanti disperse in superficie o nelle grotte. Per esempio: quanto tempo impiegherà il petrolio che è stato scaricato nel Pozzo dei Colombi a giungere in mare proprio dove i nostri figli fanno il bagno o arrivare nelle cozze che crescono sul nostro litorale? Analogo discorso si potrebbe fare per la discarica di Trebiciano, ma ancora per altri 300 casi di grotte a volte pesantemente inquinate. Nessuna Istituzione, al di fuori del Comune di Duino-Aurisina, ha voluto non solo porre rimedio a questo inquinamento, ma nemmeno conoscere l’entità del problema. Da 8 anni siamo sotto le competenze della Provincia di Trieste e in questi 8 anni nessuno ha pensato di utilizzare il nostro potenziale operativo per eseguire delle indagini conoscitive sullo stato dell’inquinamento delle grotte. Ricordo ai presenti che solo noi speleologi abbiamo le capacità e i mezzi per scendere nelle grotte per fare questo tipo di lavoro.

Questo signori è il nostro Carso, un piccolo fazzoletto di terra conosciuto in tutto il mondo e citato in tutte le enciclopedie e libri scientifici. In Italia vi sono grossomodo 40.000 grotte distribuite su una superficie di 300.000 km²; quindi risulta che in media nel nostro paese vi sono 13 grotte ogni 100 Km². Nello specifico nella nostra Regione annoveriamo 7738 grotte su un territorio ricoperto da rocce carbonatiche del 40%; considerando che la superficie della nostra regione è di 7862 km² si evince che noi abitanti del FVG possediamo 1 grotta ogni km². L’unica regione in Italia che può essere messa a confronto con il FVG è il Veneto che ne annovera 8077, ma distribuite su una superficie 2,5 volte più grande della nostra. Ma il dato diviene sorprendente quando si parla della provincia di Trieste. Come voi certamente saprete ha una estensione di appena 212 km² (con una superficie di rocce carbonatiche del 70% contro un 40% del resto della Regione) con la presenza di ben 3175 grotte. Conti alla mano sul territorio della Provincia di Trieste vi sono 15 grotte per km². Ricordate: la media nazionale 13 grotte ogni 100 Km². Qui si sta parlando di quasi cento volte di più della media nazionale. Quindi mi piace definire il nostro territorio il Klondike delle grotte. E credetemi le grotte e gli speleologi triestini non finiranno mai di stupire il resto del mondo. Ricordo a tutti che a Trieste è nata la speleologia organizzata, quindi la più vecchia al mondo.

Tratteggiato il territorio viene il momento giusto per parlarvi di quei personaggi molto coreografici che si vedono spesso ai lati delle strade del nostro Carso, che in fila indiana, ricoperti di fango e stanchi da morire, vanno alle loro automobili per cambiarsi e ridiventare comuni mortali. Questi sono gli speleologi, conosciuti anche come grottisti.

Andiamo a conoscerli cercando anche di capire cosa fanno.

Nella provincia di Trieste operano circa 900 speleologi raggruppati in 10 associazioni, di cui 9 aderenti alla Federazione Speleologica Triestina che li rappresenta davanti alle Istituzioni. Penso di non poter essere smentito se affermo che un triestino su dieci è andato almeno una volta in grotta nella sua vita e ne ha quindi subito il fascino.

Gli speleologi amano molto il loro territorio, ne conoscono perfettamente la morfologia, e quindi sono utili alla comunità perché registrano costantemente uscita dopo uscita i dati ambientali ed eseguono un continuo monitoraggio sul ciclo delle acque sotterranee.

Si possono annoverare fra le loro fila geometri, periti, ingegneri, geologi, dottori, ma anche muratori, meccanici, impiegati, cuochi; insomma uno stuolo di persone con proprie capacità tecniche tali da far superare nel loro insieme ogni possibile problematica.

La loro attività principale è quella di scoprire sul territorio, seguendo precisi indizi, LE GROTTE, quasi sempre attuando faticosissime opere di allargamento (pensate che ogni anno ne scoprono mediamente una trentina).

Eseguono all’interno della cavità il rilievo topografico con planimetrie e sezioni utilizzando attrezzature molto precise, che hanno costi elevati e che si guastano rapidamente. Per questa loro specifica capacità sono chiamati i geografi del sottosuolo.

Negli ultimi anni gli speleologi hanno intrapreso un’opera di attualizzazione delle ubicazioni degli ingressi delle cavità utilizzando sistemi di georeferenziazione GPS infiggendo agli imbocchi delle 7800 grotte conosciute le targhette identificative fornite della Regione FVG.

Sono gli unici in grado di muoversi nel sottosuolo, non esistono organizzazioni parallele, che possano competere con la loro capacità operativa. Il Soccorso Speleologico è composto esclusivamente da speleologi appartenenti alle associazioni che abbiamo citato pocanzi. Ricordo a questo proposito l’intervento dei soccorritori triestini nel recente incidente accaduto in Germania dove uno speleologo si è ferito alla profondità di 1000 metri. Grazie ai nostri speleologi l’intervento si è concluso felicemente, ottenendo, come scritto su tutti i quotidiani, grandi plausi.

Dopo aver concluso le esplorazioni delle grotte gli speleologi consegnano i dati raccolti al Catasto Regionale delle Grotte del FVG.

Forniscono alle università dati scientifici, fotografie e descrizioni tecniche.

Ai musei offrono la loro collaborazione nella raccolta di campionature di faune e segnalano con competenza particolari forme vegetali che allignano sui bordi delle voragini.

Forniscono ai laboratori di analisi acqua, rocce e sedimenti sotto forma di campionature che raccolgono in grotta. Ricordo che le grotte sono gli archivi del nostro passato. Nelle cavità sono stati fluttuati dalle acque di dilavamento i pollini delle antiche vegetazioni e quindi dalla raccolta di questi depositi si possono, grazie alle campionature fatte dagli speleologi, capire i cambiamenti climatici avvenuti sul nostro territorio.

Raccolgono notizie, formulano statistiche e compilano relazioni fornendo pareri ad aziende come Rete Ferroviaria Italiana e ITALFER in merito alla progettata AV/AC ferroviaria.

Segnalano alla Soprintendenza il rinvenimento di oggetti appartenuti alla preistoria localizzati nelle grotte.

Negli ultimi anni hanno eseguito la pulizia di una dozzina di cavità inquinate, estraendo dalle grotte, tramite ingegnosi paranchi, più di 1000 m³ di immondizie altamente inquinanti.

Riassumendo, per gli speleologi ogni uscita in grotta corrisponde a una raccolta di informazioni ambientali fondamentali per la conoscenza del territorio, per la ricerca e la tutela delle acque sotterrane, per la protezione di specie animali e per la progettazione di opere ingegneristiche. Dati che essi documentano, divulgando, tramite fotografie, descrizioni e rilievi topografici, a volte importantissimi, quel misterioso mondo che nessuno conosce.

La ricerca di nuove cavità non è la sola attività praticata dalle Associazioni speleologiche. Ad esempio risulta fondamentale, per la sicurezza della progressione su corda, l’addestramento delle nostre “maestranze” all’utilizzo delle attrezzature utili alla progressione secondo precisi standard stabiliti dalle scuole nazionali di speleologia. Vengono anche posti in calendario ogni anno almeno dieci corsi propedeutici di primo livello rivolti ai giovani che vogliono avvicinarsi alla speleologia.

Altra iniziativa importante che viene attuata dai diversi Gruppi speleologici è quella didattica rivolta alle scuole primarie e secondarie. I giovani vengono accompagnati nelle grotte per guardare, toccare, annusare assieme agli accompagnatori qualificati i mille segreti del mondo sotterraneo e per far nascere in loro il rispetto per la natura.

Ricordo che le grotte sono state definite l’ultimo continente inesplorato di questo nostro pianeta.

Tutto questo viene fatto gratuitamente e, quello che è peggio, senza nessun riconoscimento; a volte anche una semplice pacca sulla spalla servirebbe a far capire che in fondo, nel vero senso della parola, siamo utili alla Società.

Ma purtroppo, all’inizio dell’anno, scopro dal Vicepresidente Igor Dolenc che per quest’anno i soldi per la speleologia non ci sono! Sono stati adoperati per questioni molto più importanti nel cui merito non voglio entrare.

Come sappiamo la Regione FVG in maggio ha festeggiato i 50 anni del primo Consiglio Regionale tenutosi nel 1964. Pensate: solo due anni dopo, con grande lungimiranza, si pensò di emanare la Legge Regionale 27/66 per tutelare il patrimonio speleologico del FVG e per finanziare lo sviluppo delle attività speleologiche. Con grande orgoglio possiamo asserire che questa legge sulla speleologia è stata la prima del genere in Italia.

Quello che vorremmo capire è perché la speleologia, composta come abbiamo detto da persone estremamente utili alla società e tecnicamente preparate, non venga coinvolta in progetti legati al territorio e non abbia più, stando quanto riferito, nemmeno la possibilità di comperarsi le corde per andare in sicurezza in grotta nell’ambito di quello che la Legge Regionale 27 prevede.

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