Pozzo presso il Casello ferroviario di Fernetti (n° 104 / 87VG)

104 Nuovo rilievo

104 Nuovo rilievo

La ricerca di una nuova via che conduca al Timavo sotterraneo è stata per un secolo e mezzo uno dei punti di riferimento dei grottisti triestini: dal lontano 1841, anno in cui Lindner e la sua squadra ci regalavano la Grotta di Trebiciano, il reperimento di un’altra cavità che raggiungesse quella/o che poeticamente veniva chiamata la Valle senza il sole, il Fiume senza stelle ha infervorato generazioni di appassionati grottisti.

Alla fine dell’altro secolo sembrava che con la scoperta del fiume sotto la Grotta Lazzaro Jerko dapprima, e in vari abissi in Slovenia poi, fosse chiusa la corsa al fiume ipogeo per eccellenza, ma così non è stato. Anzi, ora la ricerca sul Carso è finalizzata non soltanto a trovare un altro abisso sul cui fondo scorra il fiume, ma alla scoperta del percorso totale dello stesso: nei tre chilometri che separano la grotta di Trebiciano ci sono almeno cinque punti soffianti di cui tre grotte sulle quali si sono puntati gli occhi di tre gruppi speleo triestini: la Luftloch, la Decapitata, 2702 VG, e la 87 VG. In quest’ultima, da ormai sette anni, scava un gruppetto di vecchi grottisti della Boegan.

Nel 2006

Nel 2006

All’inizio dei lavori, aprile 2006, la 87 VG era un pozzetto di 5/6 metri conosciuto come soffiante da oltre un secolo, chiuso al fondo dal solito ammasso di pietre. Mesi di scavi ne hanno portato la profondità a 20, quota in cui finalmente si apriva un piccolo pozzo, stretto e da allargare, a cui seguiva uno di 28. Scavi alla base di quest’ultimo davano l’accesso ad un’altra breve verticale, sul cui fondo altra fessura, altri scavi … e così via sino ad una fessura non affrontabile a quota –96.

Nel frattempo, per facilitare il trasporto dei materiali e ridurre al minimo i tempi di percorrenza, tutti i pozzi erano stati armati con scale di ferro fisse ed è stata stesa una linea elettrica per portare luce e forza motrice sempre più in basso. Abbandonato lo scavo sul fondo, fessure a –60 inducevano ad altri interventi, altri mesi di lavoro, altro fondo impossibile a –80; lasciato anche questo scavo si procedeva a fare prove con “l’aria forzata” in una fessura a –47, prove che ci indicavano la presenza di vuoti. Serie di ulteriori scavi, pozzetti, strettoie, difficoltà per la sistemazione del materiale proveniente dagli sbancamenti ed infine – sono passati quattro anni – fessura non soffiante a quota –99. Altre prove con l’aria forzata e a –50 dello stesso ramo ecco un’altra fessura promettente: mesi di scavi, sollevando il materiale per una quarantina di metri, ed eccoci giunti nuovamente a –80 davanti ad un ennesimo pertugio.

Rilievo 2010

Rilievo 2010

Una provvidenziale piena del Recca-Timavo ci indica da dove proviene l’aria: dall’ultimo fondo appena raggiunto e dal muro costruito a –90 scavando il pozzo che porta al vecchio fondo di –99. Lasciato perdere, per il momento, il pertugio di – 80 si apre un altro cantiere, un altro anno e mezzo di duri scavi per arrivare da –90 a quasi –100 e finalmente, nel febbraio 2013, ecco aprirsi un pozzo. Sono sette metri, non troppo larghi, cui seguono altre piccole verticali impostate su tutta una serie di fratture parallele: un gruviera ingentilito da massi instabili e lame incombenti e sul cui fondo, a meno 123 metri, alcuni spiragli centimetrici da cui proviene, durante le piene, l’aria timavica, attendono di essere allargati e resi transitabili. Ora, però, almeno c’è il posto per sistemare il materiale proveniente dagli sbancamenti.

Qualcuno si domanderà come mai ci si mette tanto tempo, come mai per scavare dieci metri di cunicolo si sono impiegati quasi quindici mesi. Non è soltanto perché vi andiamo a scavare soltanto i sabati (a differenza della Lazzaro Jerko in cui si scendeva anche due-tre-quattro volte la settimana), ma soprattutto perché la ristrettezza degli ambienti non consente uno rapido smaltimento del materiale proveniente dall’operosità del Makita.

A parte lo svuotamento del pozzo d’accesso (da –6 a –20), in cui 64 meri cubi di pietre e argilla sono stati smaltiti all’esterno, tutti gli allargamenti interni hanno comportato l’erezione di muretti a secco lungo le pareti dei non larghi pozzi, muri in alcuni casi alti oltre dieci metri.

Pino Guidi

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Testo tratto dall’ultimo numero di Cronache Ipogee.

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