Landri Scur (PN): aggiornamento esplorativo

Anche se con un po’ di ritardo pubblichiamo qui una notizia apparsa sulla mailing list speleo nazionale speleoit:

Landri ScurAggiornando quanto apparso sul numero di Montagne 360 del mese di aprile.

“The way to the sky”, o “to the dream”, a voi la scelta.

Stavolta ci azzardiamo, si. A discapito di chi non ci credeva. La settimana scorsa c’erano meno di 10 cm di aria sopra il lago, ma un vento impressionante ne increspava la superficie.

“Se continua così quel vento la farà evaporare, l’acqua del lago”. Nessuno mi credeva. Sono davvero così sognatore? Che bello, e penso sia proprio questo il motivo di certi risultati, tra cui questo di cui ora racconterò.

Borgobello Tiziano, Poeta Sergio e l’immancabile Andrea Macauda (Mammolo) sono gli sfortunati che risposero alla chiamata del Landri Scur. Era un anno e mezzo che il pelandrone non si concedeva. Sonnicchiava e ridacchiava ai nostri tentativi di forzarlo. Ma nulla, arrivati al momento buono… pioggia e… zac!_: sifone alto per mesi.

Dal dicembre 2013, nelle sue parti terminali, ci attendevano un grosso meandro ventoso inesplorato e tanto materiale tecnico. Il meandro è da sempre abituato a quel buio ma il materiale no. Reclamava nel buio un po’ di compagnia che lo utilizzasse, che lo aprisse, chiudesse, mettesse in trazione. Chissà cosa han pensato quando hanno visto l’accrescersi della luce anticipate dallo strusciare delle nostre tute sul meandro? Forse: “E qui la festa?”.

Alle ore 10.30 di sabato mattina accendiamo i nostri led. Abbiamo con noi circa 2 sacchi a testa. Si, perché comunque, per evitare qualsiasi problema con il lago eventualmente ancora alto, abbiamo deciso di portarci anche le mute da sub ed i sacchi stagni per contenere trapani e tutto il resto. Lo abbiamo fatto lo stesso, anche se Mauro Sacilotto e Марчо Монтагнэp (Pelo) ci avevano già avvisato che il lago era basso.

Sifone di sabbia, budello, pozzetto. In poco tempo siamo al lago dove constatiamo che le indicazioni dei due erano corrette. Abbandoniamo il materiale subacqueo e saliamo sul canotto. C’è un’ottantina di cm di aria sopra la superficie dell’acqua del lago, sufficiente per passare comodamente. Galleria quadra, salone e poi sifone di ghiaia che, però troviamo chiuso.

In circa una mezzoretta riesco a passare. Poi Sergio, Tiziano ed, infine, Mammolo.

La strada scorre via veloce e, verso le 17.00 siamo all’imbocco del meandro merdoso, quello dell’anello, in prossimità del limite esplorativo della vecchia guardia.

Meandro di merda del cazzo, che ci fai perdere un’ora per percorrere i tuoi 150 metri, quanto ti odio.
Alle 18.00 siamo quindi al di là di quest’ultima difficoltà, al termine delle esplorazioni degli anni ’90. Ora si incomincia a salire: un 15, un 20, un altro 15 ed, infine, un 25. Ora si cammina in orizzontale in una zona che sembra essere lì per caso. La grotta cambia, si entra in un altro sistema. Qui non c’è aria come nelle parti sottostanti. Non c’è aria, certo, almeno fino al bivio con le Vasche dove l’aria si fa di nuovo davvero tanta. Ma è un’altra aria. Un’altra aria di un’altra grotta, evidentemente. L’aria esce dall’ingresso ed esce anche dalle Vasche. Le Vasche sono un ingresso basso di un altro sistema superiore e non l’ingresso alto del Landri Scur. Lo avevamo già capito un paio d’anni or sono quando avevo constatato che l’ingresso delle vasche era completamente chiuso dalla neve ed il sifone del Landri completamente aperto. Il concetto era poi stato rafforzato con le esplorazioni del dicembre 2013 in occasione della scoperta del meandro alto, obiettivo di questa punta.

Filiamo lisci e di corsa ignorando le vasche. Eccoci laddove avevamo lasciato il materiale, praticamente il termine esplorato. Davanti è tutto nero. O tutto bianco “inesplorato”, dove tutto è da scrivere, vedete voi…
Il materiale, come ci si aspettava, è proprio contento di vederci. E’ tutto in ghingheri, bello ordinato e pulito. Entra perfino da solo nei nostri sacchi.

R10 e siamo nel meandro. E’ come me lo ricordo: fossile, largo, alto, ricoperto da limo asciutto. Dritto e sinuoso al tempo stesso. Tanta aria, sempre presente, che scende: eccolo l’ingresso alto delle vasche. Da qui, in un futuro, entreremo nelle vasche e poi nel Landri. Ma intanto progrediamo lentamente, armandolo con piccoli traversini laddove necessario. Consumiamo così una ventina di attacchi e più di 100 metri di corda. AL termine del materiale decido di proseguire da solo. Passo un punto stretto, vado avanti. Ora si allarga. Gli ambienti diventano un po’ più attivi. Intercetto un attivo. L’acqua se ne va per vie ignote, da esplorare, ma intanto io rimango alto. Proseguo in solitaria. Piccole pozze d’acqua che le osservo: ci sono aghi di pino mugo. Ma intanto proseguo. Ora l’ambiente è più grande. Mi trovo in un ambiente con il soffitto costituito da una frana. L’attivo basso è impercorribile e così decido di guardare meglio il soffitto. Tra i blocchi scorgo un possibile passaggio. Ma c’è bisogno di corda, ed io l’ho finita. Al di là, un bel grande ambiente nero attende di essere illuminato per la prima volta dai nostri led.

Faccio quindi retrofront, per tornare dove gli altri mi attendono. Le nostre stime quantificano in 3-400 metri di nuovo esplorato. L’altimetro segna +240/260 dall’ingresso.

Alle 08.00 rivediamo la luce con ancora l’atroce dubbio sul nome del meandro: “Way to the dream” o “Way to the sky”? Dietro di noi il mostro scuro del Pradut, schivo e sonnolento che, osservandoci, ridacchiando ci da l’arrivederci.

Filippo Felici

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