L’opinione dello speleo
Quale speleologia futura?

Dal contesto degli ultimi avvenimenti, articoli, prese di posizione, ma soprattutto fatti concreti che hanno intriso la nostra speleologia regionale, lasciando in qualche modo il segno, ed all’interno di questa nostra speleologia, come nelle scatole cinesi, il problema di quella – ahimè – Cenerentola che definiamo Speleologia scientifica, forse si può tentare di fare una riflessione sull’argomento e sul futuro. Partiamo dall’ultimo avvenimento in ordine di tempo, dal quale non si può prescindere, vale a dire il 20° Congresso Nazionale di Speleologia tenutosi ad aprile in Sardegna: la vera e più qualificata vetrina italiana della speleologia. Poi il prossimo novembre ci sarà la solita, piacevolissima, rimpatriata tra stands eno-gastronomici, mostre, e così via, ma evidentemente sarà altra cosa. Dalla nostra regione sono scaturiti cinque lavori, dei quali tre fra tecnico-informativi e sul folklore e due di ricerca (in senso tradizionale), ma di questi ultimi due uno soltanto è stato inviato (sulla zona del Musi) mentre l’altro (sulla zona di Villanova) purtroppo non è stato consegnato in tempo. Qualora confrontassimo il nostro contributo recente ai congressi con quello, per esempio, che abbiamo dato durante i primi decenni del dopoguerra, ebbene, il paragone si farebbe stridente. Tanto più che la ricerca speleologica (carsismo, idrogeologia, biologia, etc.) ha fatto nel frattempo passi da gigante ed è molto, ma molto, più diffusa rispetto un tempo. Fattore, quest’ultimo, che va tenuto in debito conto, e che solo relativamente ha a che vedere con il numero delle persone che vanno in grotta. Un numero che, in ogni modo, da noi è in costante calo: altri interessi nel tempo libero, il cui ventaglio d’offerte, oggi, si è allargato a dismisura. Leggo, d’altra parte, che l’età media di chi frequenta i corsi si è allungata, e sembra un non-ritorno. Brutto segno. Per me, speleologo “classe 1944”, l’idea che, da noi, i grandi speleologi siano stati quelli che hanno iniziato ad andare in grotta a 15 anni, si sono fatti, per prima cosa, vent’anni filati di abissi, contemporaneamente i rilievi, le ricerche scientifiche, ogni giorno con la mente sui libri, nello studio, poi sempre a “toccare con mano” le pareti delle grotte o calpestare “con gli scarponi” le rocce della aree carsiche, anche quando con l’età si avanza a fatica, e così avanti, rimane un punto di riferimento. Ma, forse sbaglio, forse semplicemente è il mondo che cambia, e così la nostra speleologia. Allora mi auguro che qualche ormai “anziano”, intendo dire quelli oggi “dei corsi”, si accosti alla speleologia e diventi un “grande”. Ma, purtroppo ancora non lo ho visto all’orizzonte. Ricordo, parecchio tempo fa, su La Gazzetta, un articolo di Giuseppe Moro, piuttosto emblematico, d’una reale apprensione da parte degli speleologi più giovani di me (per lo meno alcuni) a ritrovare le – un po’ perdute – vere radici della speleologia, che oggi, con i mezzi della tecnica esplorativa e della scienza moderni, sono di un’attualità incredibile. Ricordo, ancora sempre su La Gazzetta, un trafiletto di Gianni Benedetti su una mostra cartografica, a Trieste, dove rilievi di grotte, reale frutto degli sforzi congiunti dei nostri speleologi in varie epoche, ma anche – aggiungo io – frutto di sinceri e disinteressati entusiasmi, non siano stati, in alcuna forma, collegati alla speleologia. Giustamente risentito, l’autore esternava l’avvilente considerazione: sembra che «in oltre 100 anni d’attività topografica e cartografica, gli speleologi, capaci solo di rotolarsi nel fango, non hanno prodotto alcunché». Un fatto che, a mio giudizio, certamente turba le coscienze. Unico appunto che mi permetto di fare, è che gli speleologi in oltre 100 anni non hanno solo prodotto attività topografica e cartografica, hanno prodotto ben di più. Che un malessere pervada la nostra speleologia è evidente. Già i nostri gruppi grotte sono assillati da problemi di finanziamento, di natura legislativa, al punto in cui siamo direi vitali per la loro sopravvivenza, che poi è quella di buona parte della speleologia. Già la nostra speleologia emerge, non senza traumi, da uno scontro sul problema del catasto delle grotte (le cui deficienze – se qualcuno ha la bontà di ricordare – io denunciai pubblicamente, voglio dire ad un congresso e per iscritto, già venticinque anni or sono, dove …ovviamente fui inascoltato) che, finalmente, sembra essersi risolto. Già ci sono forze e pregiudiziali strumentali, e di comodo, che ostacolano il dialogo tra settori della ricerca e la speleologia dei gruppi grotte, con risultati deleteri e rovinosi. Direi che, per la nostra speleologia, tutto ciò basta e avanza. Se, obiettivamente, la speleologia regionale è avvilita da tutta una serie di situazioni non esattamente positive, non bisogna però fare di tutta l’erba un fascio. Bisogna che gli speleologi, esercitando il loro giudizio in piena autonomia, comincino a valutare, documentati, in modo sereno ed imparziale, singoli comportamenti e azioni, mai scordandosi come colpe o meriti – senza scomodare il diritto romano – siano sempre soggettivi. Con chiarezza perciò, se è il caso, reindirizzino i loro sforzi, rimodellino le loro azioni, ripensino ad un futuro diverso …in termini di anni. I gruppi grotte, per l’enorme e faticoso contributo che in oltre un secolo hanno dato alla conoscenza geografica e scientifica, sono, nel loro insieme, una grande istituzione: ve lo dice il sottoscritto che, da tempo, non è iscritto ad alcun gruppo grotte, ma che nei gruppi ha passato un’intera vita e non rinnega nulla, e che fa ancora oggi (per fortuna e per l’appoggio di molti amici) tanta speleologia. Accanto a ciò, bisogna però pure accettare un dato di fatto: di come una parte, ed assai significativa, della speleologia che rientra nel comparto scientifico sia stata portata avanti (e ciò da sempre!) da singoli individui, i quali a volte hanno avuto, o mantenuto, per loro scelta o per il trovarsi di fronte a difficili condizioni ambientali, un rapporto molto limitato con i gruppi grotte. In questa scomoda verità, da una parte vedo una sorta d’irragionevole e presuntuosa elitarietà di alcuni singoli studiosi, da un’altra vedo quel perenne, tedioso, confliggere sul tema da parte di parecchie dirigenze nei gruppi grotte che intravedono nello studioso colui che gli succhia il sangue. Ripeto, si valutino obiettivamente e serenamente fatti e comportamenti, per quelli che sono. Soprassediamo che ciò è un diritto, poiché è palese, è un dovere per gestire meglio le scelte future. Tuttavia, il progresso della speleologia non può che passare che per cultura, professionalità e preparazione. Mai scordandosi che, in ultima analisi, l’esplorazione è soltanto il primo passo per un’azione ben più ampia che viene contestualizzata come “speleologia”, e se volete a speleologia aggiungiamo “in generale” …ma poco cambia. La conoscenza e, così facendo, il perseguimento di quelle azioni che rientrano nel campo intellettuale e scientifico sono, infatti, la vera essenza ed il vero obiettivo che la speleologia da quando è nata si è posta. Compito imprescindibile dei gruppi grotte del terzo millennio è tentare, con ostinazione ed incisività, d’essere propositivi in questa direzione, ricercando quelle possibili sinergie con il comparto scientifico, per poi soppesarle, valutarle, comprenderne il grado di beneficio nelle diverse opzioni, infine scegliere. Senza più essere “soggetti passivi” nei confronti d’uomini e strutture che la ricerca, per mestiere o per passione, la fanno ogni giorno. Mi sembra di aver già ricordato una volta – se non è così lo ripeto – che oggi, nel mondo della globalizzazione, a patto di essere informati (…se non c’è neanche questo, meglio darsi “alle bocce”), si possono trovare, scegliere, interpellare numerosi studiosi, enti, e così via, caldi o meno caldi, pronti o meno pronti, ma comunque potenzialmente scientificamente capaci e disponibili, in Italia, in Europa, nel mondo, che possono diventare soggetti con cui stabilire collaborazioni e partenariati onde poter esercitare efficaci azioni in “progetti” di speleologia. Inutile oggi, anzi sciocco, limitarsi alla sola regione. Siamo nella speleologia globale ormai da un decennio, quindi completamente fuori da una dimensione locale, anche perché la nostra regione in questo campo offre poco. Si abbia dunque – come speleologi e come gruppi – coscienza, disponibilità, preparazione, e perché no umiltà, per cambiare rotta, per trovare nuove praterie, nuovi pascoli, guardando veramente oltre un orizzonte che oggi, con i benefici della globalizzazione, è sconfinato. Coscienti però – come ho ricordato prima – che i veri obiettivi ed i veri valori sui quali la speleologia si fonda non sono semplicemente passati di moda, forse sono stati solo un po’ smarriti, ma rimangono assiomi intatti in tutta la loro forza propulsiva. In fin dei conti, alle scuole di guerra i futuri strateghi ancor oggi studiano Tucidide che ci narra della guerra del Peloponeso e Giulio Cesare che ci narra della guerra in Gallia ed in Spagna; ovvio che poi essi debbano confrontarsi con le armi gli scenari moderni.

Rino Semeraro