Quando il nano diventa cattivo

20 gennaio 2018, Abisso dell’Ottavo Nano, Claut (PN)
“Quando il nano diventa cattivo” – da FB Filippo Felici

Ce l’abbiamo messa tutta, ma quest’Abisso è proprio ostico da far digerire alla speleologia locale. Neanche una bellissima giornata assolata su una fantastica neve ha servito per invogliare l’inconsueta massa di ciaspisti, massa affollatrice dominante nei gruppi in questo periodo. Avevamo chiesto a questa massa anche solo di darci una mano per trasportare un po’ di materiale sino all’ingresso, ma niente, sembra quasi si voglia cancellare questo nuovo abisso dall’esistenza. Forse che il buco non “tira” più? Boh?

Questa volta però non mi troverò di nuovo da solo al cospetto dell’abisso che tanto nano oramai non lo è più. Siamo in tanti, in due: io e Denis Zanette che, sventurato, rispose. E così eccolo presentarsi puntuale alle 6 meno 10 all’uscio di casa mia.

Colazione di rito a Claut ed alle 07.30 lasciamo Lesis alle nostre spalle. Ramponcini piccoli piccoli del Decathlon e via. Via verso gli alti altipiani del Col Ciavath, mille metri più in alto. Siamo scarichi, non abbiamo corde noi, per l’esplorazione useremo la corda che attualmente arma il Brandivino, una 80. Se vorremo fare altre punte invernali dovremo portarcene di altre, da valle.

La neve, anche se tanta, è dura e compatta, tanto da non richiedere neppure l’utilizzo delle ciaspole. Si cammina bene lassù, tra la miriade di inghiottitoi aperti nella neve, tanto che alle 10.15 siamo di fronte alla bocca spalancata dell’abisso che sembra pronto ad accoglierci.

Lo scavo della trincea per raggiungere la corda

Lo scavo della trincea per raggiungere la corda

In circa mezz’ora riusciamo a scavare una trincea di due metri nel manto nevoso fino a trovare la corda lasciata sul pozzo di ingresso (nonché il mio materiale di progressione appeso al primo frazionamento).
L'ingresso versione invernale

L’ingresso versione invernale

Fuori fa troppo freddo per cambiarci, così decidiamo di scendere e di cambiarci alla base del primo pozzo. Denis scende per primo ma è costretto a farsi tutto il 30 di accesso con la treccia in quanto la corda è tensionata dall’accumulo nevoso che sta alla base. Io lo seguo.

Ripercorriamo tutto il meandro sino a Khazad-Dhum. Denis corre a disarmare il Brandivino, io mi metto a giocare con un tentativo di disostruzione di un meandro ventosissimo. Verrà il tempo per essere attraversato, ma non è ancora arrivato.

Fino a lì la grotta è in secchissima, praticamente neppure stillicidio. Questo mi fa contento, considerato il posto dove andremo. All’arrivo di Denis si parte velocemente per la base del Morghul, dove un pozzo valutato attorno ai 15 metri attende ancora di essere sceso. Denis armerà, io lo seguirò avanzando con il rilievo.
Eccoci. Denis arma ed atterra su Minas Thirith. Una sala dove arriva anche un altro pozzo, parallelo a quello appena sceso. L’aria è tanta e freddissima. C’è una faglia, detrito sul fondo. Ci bloccherà? Denis parte infilandosi tra i blocchi e trova subito la via giusta. Ventosissima. Io lo seguo e mi infilo in una condottina freatica ventosissima. Gli urlo che la prosecuzione è di qua.

“No di qua!” mi risponde lui.
“Anche di là? Va pure di qua. Vabbè, vengo da te”, gli rispondo io.

Scendiamo un P5 in libera. Strettoia. Getto un pietrone al di là. Boom. Badaboum, buummm. Forse un P40, o addirittura 50. Rumore di cascata.

Fa freddo, un freddo cane. L’aria è impressionante. Raramente, nei miei quasi trent’anni di speleologia, mi è capitato di sentire un’aria del genere. Decidiamo di risalire a Minas Thirith e prendere il materiale d’armo per scendere il pozzo.

Decido di non seguire immediatamente Denis. Non ho il coraggio di aspettare davanti la strettoia che completa l’armo. Troppa aria, troppo freddo. Lo raggiungerò mezz’ora dopo, con il rilievo. Dalla partenza fraziona 6 metri più in basso. Poi un tiro da 25 ed atterra su un ponte di roccia. Altro frazionamento e poi 15 metri per raggiungere la base del pozzo, il Baratro di Morgoth. Io lo seguo con calma, rilevando ed osservando il pozzo dove abbiamo una portata di acqua di almeno 1-2 litri al secondo. Ho i brividi, figuriamoci quale può essere la sua portata nella stagione estiva. Forse addirittura impercorribile.

Sul pozzo si affacciano almeno due gallerie sospese, che tenteremo di raggiungere durante qualche futura punta.
Alla sua base un meandro stretto. Poi P8. Andiamo avanti. Laghetto. Qui termina l’ultimo pezzo della 80. Qui termino le mie operazioni di rilievo.

La roccia cambia, uno strato di materiale più impermeabile. L’ambiente si fa angusto. Il Nano si sta incattivendo di nuovo. Avanzo. P5. Meandro stretto. Provo a forzare senza troppa convinzione perché Denis è indietro. Mollo e torno sui miei passi e noto che sì, aria qui ce n’è, ma indiscutibilmente non tutta quella che c’è più in alto. Se ne va via da qualche nel Baratro, in una delle gallerie che in esso fa capolino.
Alle 21.00 saremo di nuovo alla base del pozzo di accesso dove ci cambieremo prima di riemergere sull’altopiano innevato del Col Ciavath dove la temperatura di -10°C ci rinfrescherà le idee sulla strada da percorrere e che ci condurrà all’abitato di Lesis alle 23.30.

Terminata la restituzione su Compass della poligonale, a casa, sarò costretto a ridimensionare la profondità dell’Abisso. I continui saliscendi sulle gallerie e nei meandri mi avevano ingannato, e mi avevano dato l’impressione di essere arrivati a -300 m già durante la punta del dicembre scorso. In realtà l’elaborazione del rilievo indica in 295 metri la profondità attualmente raggiunta.

Considerazioni: l’esplorazione di questa cavità è lontana dal potersi considerare conclusa. Tantissimi sono gli interrogativi lasciati in sospeso rappresentati da meandri e gallerie fossili non percorse. L’aumento della quantità di aria che si registra man mano che si scende in profondità fa sognare l’intercettazione di grandi gallerie, gallerie che già si trovano qualche centinaio di metri ad ovest (il Landri Scur). La quantità di acqua nelle parti più profonde è notevole se considerate le temperature polari che da almeno un mese caratterizzano l’altipiano.

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