“Il Buco” film sulla speleologia

A “Il Buco”, il film di Michelangelo Frammartino, è stato assegnato il Premio speciale della giuria alla 78° edizione del Festival del Cinema di Venezia. La pellicola racconta delle esplorazioni, compiute nel 1961 dai giovani del Gruppo Speleologico Piemontese, nell’Abisso del Bifurto, sulle pendici del Pollino in Calabria. Una grotta verticale di quasi 700 metri che, all’epoca, era una delle cavità più profonde al mondo. Il film gode del patrocinio della Società Speleologica Italiana che ha anche fornito supporto tecnico alla troupe. In rappresentanza della Società Speleologica Italiana, a Venezia, è stato invitato il Presidente Sergio Orsini che, subito dopo la proiezione, ha inviato lo scritto che, con il suo consenso, riporto di seguito. Una bella soddisfazione per la Speleologia tutta.

Mila Bottegal

Invitato dalla produzione e accolto calorosamente, ho assistito alla proiezione del film “Il Buco”, patrocinato dalla SSI e proiettato il 4 settembre al Festival del Cinema di Venezia. Ho portato caschi, cinturoni e lampade del Museo Luigi Fantini del GSB-USB APS per la sfilata sul Red Carpet della troupe. In una situazione blindata e transennata, con il solo ingresso ai fotografi, il regista Michelangelo Frammartino ha voluto mostrarsi insieme ad alcuni attori, con gli abiti di scena del film. Che inizia in sordina, con immagini di repertorio che mostrano orgogliosamente il grattacielo Pirelli a Milano, poi il primo piano di un pastore che controlla dall’alto di un pendio buoi, cavalli e capre, con versi e suoni, ordini comprensibili solo a loro.

Pascolano in questa valle verdissima, dove si apre come una ferita, l’entrata della grotta.

Campo lungo: la stazione ferroviaria dove arrivano i ragazzi in attesa che il camion dell’esercito li carichi per portarli alla grotta; sosta in un paese, dove pernottano nella sagrestia della chiesa, e dove controllano e preparano il materiale della progressione, scherzando con i bambini, incuriositi dalla presenza di questi “stranieri”. Siamo nel 1961, e un televisore in bianco e nero, in uno slargo davanti all’unico bar, mostra agli abitanti, che si sono portati la sedia da casa, uno spettacolo del sabato sera: le ballerine, tutte uguali, hanno gambe lunghissime, inguainate in calze nere. Poi ancora il viaggio in camion per arrivare dov’è il pastore, sempre nello stesso punto, che controlla i suoi animali.

Qui le storie dei ragazzi e del pastore si intrecciano, i primi sondaggi del pozzo iniziale e l’inizio dell’esplorazione, alternata da momenti di vita esterna che spezzano quello che potrebbe essere un racconto noioso di una progressione lenta in grotta. Io, speleo di quei tempi, ho rivissuto i momenti della progressione su scale, i comandi sui pozzi, le sicure, le calate dei sacchi, un deja vu che mi ha riportato indietro nel tempo, con la luce gialla dell’acetilene che mostrava solo poco davanti a te. E per verificare la profondità dei pozzi tanti sassi lanciati nel vuoto, contando i secondi, e giornali incendiati buttati giù per cercare di vedere come era fatto il pozzo.

Intanto, fuori, la vita del campo continua, con momenti di relax: bellissima una partita di calcio di qua e di là del pozzo iniziale, i cavalli curiosi che intrufolano il muso nelle tende mentre i nostri speleo dormono e il pastore onnipresente che controlla, sempre al suo posto, le sue bestie.

Riprendere il buio, spiegarlo con la sola fotografia, senza l’aiuto di un sonoro è stato grande. Tutti i suoni sono in diretta e non si sente per nulla la necessità di musiche o dialoghi preparati.

Sono rimasto molto colpito dalla bravura di Frammartino nel raccontare la speleologia, e quella degli anni ‘60 in particolare.
Il confronto fra la modernità del grattacielo Pirelli, la sua esaltazione, e questi ragazzi, che compiono un’impresa ben più difficile, evidenzia due mondi contrapposti dove la speleologia e i suoi protagonisti si mostrano nella loro semplicità ma con una grande determinazione per la conquista non di un record in altezza, ma della scoperta di un mondo sotterraneo che nasconde il nostro passato, che ci mostra il nostro presente e anticipa il nostro futuro.

Un ricordo: 1965, organizziamo una spedizione alle Tassare, non riusciamo a trovare la grotta per la troppa neve, ripieghiamo al Cucco. Con i piani sconvolti dobbiamo cercare un posto dove dormire. A Sigillo interpelliamo il parroco: ci mette a disposizione l’asilo. Spostiamo i banchi con l’impegno di rimettere tutto a posto il mattino dopo e stendiamo i sacchi a pelo, quelli militari, quelli che si vedono anche nel film di Frammartino. Attaccati al muro una fila di attaccapanni con i grembiulini dei piccoli, tutti uguali, tutti ordinati. Cosa possiamo fare per ringraziare il parroco della sua generosità? Abbiamo delle caramelle, e ne mettiamo una in ogni tasca dei grembiuli. Mi è rimasta sempre la voglia di vedere cosa hanno provato quei bambini; il paese era come quello descritto nel film, con gente semplice ma pronta ad aiutarti con la schiettezza e la generosità che contraddistingue queste comunità.

Qui mi fermo e lascio alla futura visione del film la conclusione della storia.

Sergio

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