Trieste, il pauroso salto del Timavo nell’Abisso di Trebiciano

La spedizione Timavo System Exploration al Pozzo dei Colombi (foto Maizan)

La spedizione Timavo System Exploration al Pozzo dei Colombi (foto Maizan)

Il fiume “fantasma” scende nel ventre della terra a una profondità di 370 metri. Scoperta di un team di speleosub partiti dalla Francia per svelare i misteri del Carso
di Giulia Basso

TRIESTE: Dopo 175 anni di esplorazioni speleosubacquee nell’Abisso di Trebiciano, avviate nel 1841 con la scoperta di un fiume che scorreva nelle viscere carsiche, per la prima volta quest’anno è stato forzato il sifone d’uscita nel fondo del grande lago sotterraneo dove il Timavo sparisce, nel silenzio della grande caverna Lindner.

Si è così scoperto che il fiume scende nel ventre della Terra a una profondità di 41-42 metri superiore rispetto ai 329 metri raggiunti dalla grotta a pelo d’acqua. Con i suoi 370 metri dunque l’abisso di Trebiciano giunge a tallonare per una manciata di centimetri il primato della Grotta Claudio Skilan, che con i suoi 378 metri è la più profonda del Carso.

È questa la principale, ma non l’unica, nuova scoperta sulla geografia sotterranea del nostro fiume fantasma, uno tra i maggiori misteri che appassionano da decenni gli speleologi di tutt’Europa. La scoperta è il frutto della quarta esplorazione, compiuta pochi giorni fa da un gruppo di sei speleosub francesi, nell’ambito del progetto “Timavo System Exploration”, messo in campo nel 2013 dalla Società Adriatica di Speleologia (Sas).

La spedizione Timavo System Exploration al Pozzo dei Colombi (foto Radovan)

La spedizione Timavo System Exploration al Pozzo dei Colombi (foto Radovan)

Capitanati dal celebre esploratore, ora 75enne, Claude Touloumdjian, il Jacques Cousteau delle esplorazioni speleosubacquee, i francesi, coadiuvati dai nostri esperti locali, si sono nuovamente immersi nelle misteriose profondità dell’Abisso di Trebiciano e del Pozzo dei Colombi, nei pressi delle risorgive del Timavo, per aggiungere altri importanti tasselli a quanto finora noto sul labirintico percorso sotterraneo del fiume.

Paolo Guglia, coordinatore Sas delle operazioni logistiche al Pozzo dei Colombi, racconta delle difficoltà di esplorazione di questa complessa cavità allagata, legate non solo alla scarsissima visibilità, che in alcuni punti si riduce a non più di una cinquantina di centimetri oltre il proprio naso, ma anche alla profondità dell’acqua, che comporta tra l’altro lunghissimi tempi di risalita per la decompressione.

«Marc Douchet, Christian Kiki Moré e Maxence Fouilleul durante le loro immersioni si sono spinti sino a 82 metri sotto il pelo dell’acqua, a 80 metri sotto il livello del mare: lì scorrono le acque dolci del Timavo. A quella profondità si stanno seguendo gallerie di dieci metri di diametro. Quest’anno si è avanzati con le esplorazioni di altri 30 metri, giungendo in un punto in cui sembra che il passaggio cominci a risalire verso l’alto».

Come già annunciato vengono però dalla Grotta di Trebiciano le notizie più appetitose. Marco Restaino, della Sas, che ha curato l’aspetto logistico in questa cavità, spiega che fino a qualche giorno fa nessuno era riuscito a trovare la prosecuzione sommersa del lago dove sparisce il Timavo.

Per la prima volta quest’anno è stato forzato il sifone d’uscita nel fondo del grande lago sotterraneo dove il Timavo sparisce: si è così scoperto che il fiume scende nel ventre della Terra a una profondità di 41-42 metri superiore rispetto ai 329 metri raggiunti dalla grotta a pelo d’acqua. Con i suoi 370 metri dunque l’abisso di Trebiciano giunge a tallonare per una manciata di centimetri il primato della Grotta Claudio Skilan, che con i suoi 378 metri è la più profonda del Carso. La scoperta è il frutto della quarta esplorazione compiuta da un gruppo di sei speleosub francesi nell’ambito del progetto “Timavo System Exploration”, messo in campo nel 2013 dalla Società Adriatica di Speleologia

Come già annunciato vengono però dalla Grotta di Trebiciano le notizie più appetitose. Marco Restaino, della Sas, che ha curato l’aspetto logistico in questa cavità, spiega che fino a qualche giorno fa nessuno era riuscito a trovare la prosecuzione sommersa del lago dove sparisce il Timavo.

L'Abisso di Trebiciano (foto Maizan)

L’Abisso di Trebiciano (foto Maizan)

Finite le lunghe operazioni di trasporto del materiale tecnico – 30 pesanti sacchi contenenti bombole, rebreather per la respirazione e computer che regolano le miscele di aria che gli speleosub assumono in base alle profondità raggiunte – Michel Philips, Brice Masi e Jeremy Prieur-Drevon si sono immersi, con una visibilità quasi nulla a causa della torbidità dell’acqua, ed hanno trovato un varco tra le rocce di una grande frana sommersa. Hanno quindi steso quasi trecento metri di sagola, il “filo d’Arianna” dei sub.

«I rilievi eseguiti durante le immersioni – continua Restaino – hanno definito che questa galleria è un enorme tratto sifonante del corso del Timavo: dalla profondità massima di 40 metri i sub sono risaliti sino a quota zero e sono emersi in una piccola campana d’aria.

La galleria prosegue quindi verso un’area in cui, stando alle nostre ricerche, c’è una grande caverna sotterranea. Secondo i nostri calcoli non possono mancare più di 100 metri prima di entrare in questa nuova cavità. Speriamo che il prossimo anno le esplorazioni proseguano per raggiungerla».

L'Abisso di Trebiciano (foto Maizan)

L’Abisso di Trebiciano (foto Maizan)

Buone notizie giungono anche sul fronte dell’inquinamento delle acque, perché quest’anno nell’Abisso di Trebiciano sono stati trovati moltissimi protei, anfibi e unici vertebrati europei che vivono solo nelle grotte. «Se i protei sono tornati significa che l’inquinamento è ulteriormente diminuito», spiega Restivo.

Che però puntualizza: «L’Abisso si trova poco a monte dell’ex discarica comunale, ma non sappiamo ancora con precisione ciò che succede 500 metri più in là, quando il Timavo scorre proprio sotto all’ex discarica». In questa edizione del Timavo System Exploration hanno operato congiuntamente 66 persone, appartenenti a gruppi italiani, sloveni e francesi.

C’è stata inoltre la gradita partecipazione di sei colleghi tedeschi. Il progetto ha ottenuto il patrocinio dei Comuni di Trieste e Duino-Aurisina, la collaborazione scientifica del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Trieste e del Civico Museo di Storia Naturale.

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Notizia ripresa da Il Piccolo del 1.9.2016

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