Vasche da bagno, lamiere e amianto nel “ventre” della grotta di Gropada

Pulizia Pozzo Mattiolidi Lorenza Masè (da Il Piccolo del 04.09.2015 – link articolo)

TRIESTE. «Tira! Recupera! Lasca!». Sono le voci degli esperti “grottisti” che risuonano nel bosco di Gropada a scandire il ritmo della pulizia del Pozzo Mattioli: una cavità ampia che, come tante altre del Carso triestino, è stata utilizzata per decenni come discarica. Il suo ripristino ambientale è l’obiettivo della Federazione Speleologica regionale per le giornate nazionali della speleologia (ieri e oggi, ndr) promosse in tutto il Paese dalla Società speleologica italiana.

I volontari, uomini e donne, circa una trentina, sono qui dalle 8 del mattino. Sei di loro sono a 25 metri di profondità, dove tagliano i “rudinazi”, le macerie in triestino, in modo sia più facile tirarli fuori dal pozzo verticale con un sistema di paranchi, una tecnica del soccorso speleologico che permette il recupero dei pesi in sicurezza grazie a due carrucole. Instancabile Furio Premiani presidente della Federazione speleologica FVG, è stato il primo ad arrivare. Si scherza. Si fanno battute. E si fa fatica.

Incredibile cosa viene fuori da quest’inghiottitoio naturale, decine e decine di metri cubi di materiali: una vespa, due vasche da bagno, pezzi di due automobili, il cassone di un Piaggio Ape, bombole gas, reti metalliche, pneumatici. E c’è amianto.

Alle 10 del mattino arrivano l’Assessore regionale all’Ambiente Sara Vito accompagnata dal consigliere di Sel Giulio Lauri. Vito che lo scorso luglio aveva convocato il tavolo tecnico sull’inquinamento delle grotte del Carso dichiara: «Entro ottobre si terrà un secondo tavolo. I gruppi speleo dovranno avere un ruolo da protagonisti, in collaborazione con gli uffici regionali, gli esperti dell’Arpa e del Comune di Trieste per raggiungere l’obiettivo dell’elaborazione di un piano di rilevamento delle condizioni delle grotte e successivamente di un cronoprogramma di pulizia/ripristino delle cavità in regione». Premiani ricorda che «Pozzo Mattioli è solo una delle tante cavità a versare in queste condizioni».

Sul Carso triestino sono presenti 2760 grotte, di cui circa 400 problematiche dal punto di vista ambientale: 24 inquinate in modo pesante (con idrocarburi, medicinali, amianto), 133 colme di rifiuti e 243 ostruite con materiali. Il fondo della “Caverna presso la 17 VG” è riempita da un lago di idrocarburi e sotto scorre il Timavo. Tutto è registrato nel catasto regionale delle grotte. Sono uomini come Giorgio Nicon, uno dei veterani della speleologia triestina che qui tutti chiamano Jure, capaci di trovare gli indizi di una cavità, annotarne le coordinate e tornare per allargare i buchi. Nicon ne ha scoperte più di 400, ha iniziato a quattordici anni e non ha più smesso. Ma se ai volontari, gli unici a controllare tutto ciò che è stato occultato per decenni nella pancia del nostro Carso, chiedi i nomi rispondono con quello della propria sezione: Commissione Grotte Eugenio Boegan, Gruppo grotte Carlo Debeljak, Gruppo Speleologico San Giusto, Società Adriatica di Speleologia.

Altre foto (da Il Piccolo)

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